BLACK

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Vitaliano Trevisan, figura eclettica scomparsa a 61 anni, ha lasciato un'eredità letteraria potente, culminata nel romanzo postumo Black Tulips. La quarta di copertina, quasi stridula, riassume la sua filosofia: scrivere, atto di fede persino nella disperazione. La sua vita, un caleidoscopio di professioni (scrittore, drammaturgo, geometra, spacciatore, e molto altro), rispecchia la complessità della sua scrittura, capace di esprimere lacerazioni interiori e sofferenze profonde.

Black Tulips narra il viaggio in Nigeria di un portiere notturno che, in cerca di un cambiamento, si lancia nel traffico di ricambi auto usati. Il suo diario frammentario, scritto da un squallido hotel di Lagos, è popolato dai contatti italiani – prostitute del Benin – e dalla cruda realtà africana. Trevisan si definisce un "oybo", un uomo bianco che si staglia nel contesto, vivendo tra le baraccopoli di Lagos e l'inferno di Benin City. Il racconto è costellato di flashback sulle sue notti solitarie come portiere, alla ricerca di compagnia nel "quadrilatero del degrado", a contrasto con la sua esperienza africana.

L'opera include anche una feroce, ma arguta, critica al mondo letterario italiano. Trevisan si scaglia contro i premi letterari e la critica che lo hanno ignorato per anni, per poi "riabilitarlo" post mortem: "Di tutti gli ambienti che non fanno per me, il premio letterario è uno dei più ostici. […] Quanto all’implicito inderogabile codicillo necessario all’incasso, ovvero farsi cagare in testa, nessun problema. Dopo tanti anni di lavoro dipendente a farci cagare in testa siamo più che abituati". Questa critica pungente rappresenta un ulteriore tassello della complessa e anticonformista personalità di Trevisan.